«Lavorò un quadro al signor Leonello da Carpi, signor di Meldola, il quale ancor vive di età più che novanta anni, il quale fu miracolosissimo di colorito e di bellezza singulare.
Atteso che egli è condotto di forza e d’una vaghezza tanto leggiadra che io non penso che e’ si possa far meglio»
Così Giorgio Vasari né Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, et architettori del 1568 ci presenta questo dipinto di Raffaello. Dalle sue parole apprendiamo che fu realizzato, secondo Vasari, per Lionello da Carpi signore di Meldolla e da questi passò a Roma nelle mani del nipote, il Cardinale Rodolfo.
Nonostante la presenza sullo sfondo della rocca di Meldolla, donata ai Pio da Carpi da Leone X nel 1515, e la leggiadria stilistica, la maggior parte della critica la riferisce alla bottega di Raffaello e in particolare a Giovan Francesco Penni. Questa attribuzione si lega a doppio filo con l’esistenza di un disegno a carboncino e biacca raffigurante lo stesso soggetto, oggi a Capodimonte, assegnati allo stesso Penni. Nel 2012, contestualmente a un notevole intervento di restauro sull’opera, l’attribuzione ritorna alla mano del maestro dimostrando, attraverso la riflettografia infrarossa,realizzata in preparazione del restauro, senza più dubbi che il disegno appena citato è una copia su carta tratta dal dipinto e non un cartone preparatorio per la sua esecuzione. Quest’ultimo, infatti, riproduce esattamente ogni dettaglio del dipinto finito, mentre l’indagine riflettografica sulla tavola ha mostrato, al di sotto della pellicola pittorica, un disegno preparatorio dove Raffaello rielabora la composizione nel corso dell’esecuzione dell’opera.